Teatro

Cose grandi a Dobbiaco

Cose grandi a Dobbiaco

Cose in grande, quest’anno all’Alto Adige Festival/Festspielesüdtirol, il tradizionale appuntamento settembrino di Dobbiaco che vede convergere in Alta Val Pusteria un buon numero di appassionati della musica classica. Un anticipo di lusso s’era visto in realtà quale giorno prima del suo avvio, quando il primo del mese nella sede del Festival – la Gustav Mahler Saal del Centro Culturale Grand Hotel - la Mahler Chamber Orchestra diretta da Daniele Gatti, hanno presentato l’Ottava Sinfonia di Schubert e la Seconda Sinfonia di Beethoven; ma non meno rilevante è parsa l’inaugurazione ufficiale tenutasi il sabato seguente, con l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano diretta da Jeffrey Tate: in locandina Mendelsshon ed ancora Beethoven. E poi via di buon passo, da bravi montanari, con un programma denso e fitto: due settimane belle piene di appuntamenti sicuramente tutta ad alto livello.


Sera dell’apertura: aveva vent'anni Felix Mendelssohn quando intraprese un lungo viaggio attraverso l’Europa mirato a completare la sua formazione culturale e musicale, ma che ebbe anche il merito di consolidare la sua fama fuor di patria. Viaggio che toccò anche le estreme propaggini nordiche della Scozia sino alle Isole Ebridi, impervi luoghi scarsamente abitati: in una di esse, Staffa, ebbe anche modo di visitare la celebre Grotta di Fingal, luogo particolarmente fiabesco ed irreale che suscitò in lui un’enorme emozione tradotta poi in due composizioni che hanno trovato uno validissimo interprete in Jeffrey Tate, capace di restituirne intatta tutta l’ariosità ed i bellissimi contrappunti timbrici, grazie anche ad una compagine estremamente duttile, attenta ed affidabile in ogni suo componente.

Ma il meglio doveva venire con la seconda parte del concerto, nel quale l’Orchestra Haydn e il direttore inglese hanno affrontato la Sesta Sinfonia di Beethoven: altra composizione nella quale la Natura ha un ruolo predominante. Pur ricollegandosi al genere della musica a programma settecentesco, la “Pastorale” beethoveniana lo stravolge e supera del tutto, avviando in concreto un nuovo dialogo fra Musica e Natura, dove più conta appunto una '"espressione del sentimento", cioè la percezione interiore, che una semplice "pittura", cioè la mera descrizione del Creato e dei suoi eventi. Anche qui orchestra calibratissima e ineccepibile, ammirevole in ogni sezione, dalla morbida sericità degli archi alla plastica morbidezza dei fiati. Su questa compatta base di partenza, Jeffrey Tate ha impostato una coerente e seducente visione interiore, pervasa di grande compostezza lirica che nulla tralasciava nei particolari, ma che nulla concedeva agli effetti esteriori. Dinamiche perfette, leggerezza assoluta in ogni momento, adeguata resa dei colori resa attraversa una struggente ‘poesia dei timbri’; e su tutto un respiro prezioso, meditato, sofferto, ammirevole proprio in virtù della sua disadorna maestosità.